Biosistemica è il nome di un approccio terapeutico integrato a mediazione corporea che riassume in sé le sue dirette ascendenze: la componente biologica e quella sistemica. “Bio” fa riferimento alle dimensioni biologiche, neurofisiologiche ed embriologiche inerenti la componente organica della corporeità. “Sistemica” fa riferimento alla teoria generale dei sistemi in base alla quale e possibile concepire l’individuo come un sistema costituito da sottosistemi in interrelazione fra di loro.
Per delineare la struttura teorica biosistemica, possiamo dire che l’osservazione metodologica si incentra sull’emozione, in quanto fulcro centrale del vissuto, sia fisiologico che patologico; l’emozione e letta qui essenzialmente con mappe neurofisiologiche ed embriologiche, e al tempo stesso ne viene sottolineata la valenza sistemico-relazionale, in quanto costitutiva dell’esperienza sociale umana.
L’applicazione di protocolli di terapia cognitivo-comportamentale nel trattamento dei disturbi dell’alimentazione è considerata una pratica elettiva, ciò è supportato da una imponente mole di dati empirici raccolti nel passato decennio. In realtà penso che l’efficacia del trattamento, così come accade per altre forme di psicoterapia, dipende da fattori soggettivi, come ad esempio la competenza dello psicoterapeuta e il livello di convinzione del soggetto.
Questo tipo di approccio si focalizza prevalentemente sul presente, cioè si orienta alla soluzione dei problemi attuali. I pazienti apprendono, ad esempio, alcune specifiche abilità per fronteggiare situazioni ritenute difficili e stressanti (coping), che possono utilizzare anche in seguito; vengono guidati nell’identificazione dei cosiddetti modi distorti di pensare, delle “false” credenze, dei pensieri negativi su di sé; vengono incoraggiati a modificare le convinzioni irrazionali e i comportamenti disadattivi.
E’ una terapia basata sulla modificazione dello stile di vita, il cui obiettivo è ridurre il comportamento di evitamento, facilitare la ristrutturazione cognitiva, sviluppare l’abilità di parlare a sé stessi in modo positivo (self-talk positivo), fornire conoscenze specifiche al paziente che lo aiuteranno a fare scelte più consapevoli.
Percorsi Terapeutici Cognitivo-Comportamentali sono tipologie di intervento che includono le principali strategie comportamentali e sono centrati sul sintomo; si tratta di percorsi relativamente brevi, strutturati e direttivi, che mirano al miglioramento della qualità di vita e alla riduzione del disagio collegato al sintomo in questione. L’obiettivo è il raggiungimento e il mantenimento di un ragionevole peso corporeo senza tralasciare gli aspetti legati alla gratificazione e al piacere del cibo. Il focus di questi percorsi sono i comportamenti, gli aspetti cognitivi, emotivi e fisici che innescano e cronicizzano il problema. Durante il percorso possono essere affrontati temi come il disagio legato all’immagine corporea, la scarsa autostima, le difficoltà relazionali ecc..
Alcuni compiti cognitivo-comportamentali che i pazienti possono svolgere a casa sono considerati parte integrante della terapia (i cosiddetti homeworks).
In generale la psicoeducazione può essere considerata una tecnica terapeutica molto utile, ma che va associata ad altri interventi terapeutici.
La psicoeducazione alimentare è una tecnica educativa che ha lo scopo di far conoscere i meccanismi attraverso i quali un determinato disturbo alimentare è insorto, si mantiene e può essere curato. E’ una tecnica che tiene conto dei diritti dei pazienti di essere pienamente informati e che migliora l’aderenza ai trattamenti proprio perché permette di coinvolgere il paziente nelle scelte terapeutiche.
Nonostante la facilità con cui le persone possono accedere a informazioni tramite i mass-media o attraverso il passa-parola, molto spesso sono presenti informazioni e convinzioni sbagliate e distorte che riguardano il contenuto calorico del cibo, il funzionamento del metabolismo corporeo, e la patogenesi (cioé i meccanismi attraverso cui si sviluppa una malattia) del disturbo.
Le tecniche psicoeducazionali consistono quindi, in questi casi, nel fornire informazioni corrette sulle proprietà dei nutrienti, sul funzionamento metabolico e consumo calorico, sugli effetti biologici delle diete restrittive e del dimagrimento, i motivi dell’amenorrea, la relazione tra dimagrimento e sintomi fisici (come l’ipotensione, l’aumentata sensibilità per il freddo, la perdita di capelli, le difficoltà digestive, i problemi dentari) e quella tra dimagrimento e sintomi psicologici (come la depressione, i pensieri ed i rituali ossessivi, l’isolamento sociale).
Per i pazienti con anoressia nervosa, la psicoeducazione di per sé raramente porta ad un miglioramento. Tuttavia attraverso l’acquisizione di informazioni corrette, può aumentare la consapevolezza del problema e il desiderio di cambiamento, e può essere possibile una maggiore partecipazione al trattamento o perlomeno una collaborazione nella prevenzione delle complicanze fisiche.
Nella bulimia vengono fornite informazioni sul circolo vizioso “dieta-crisi bulimiche” e sulle conseguenze fisiche e psicologiche secondarie all’uso dei comportamenti di compenso come il vomito, l’abuso di lassativi e diuretici. In alcuni casi iniziali e non gravi, la psicoeducazione, assieme ad alcuni consigli di carattere nutrizionale, può portare di per sé ad una remissione della sintomatologia. L’assenza di almeno un pasto regolare al giorno o il ricorso a metodi compensatori (vomito, digiuno, abuso di lassativi) anche dopo l’assunzione di piccole quantità di cibo, sono indici della necessità di un aiuto più specifico. L’isolamento e lo scarso supporto sociale sono altri fattori che rendono difficile il successo di un intervento puramente psicoeducativo.
Nell’ambito specifico delle malattie croniche come il diabete, l’educazione terapeutica nutrizionale è parte integrante del programma di cura; dopo un intervento di chirurgia bariatrica, ad esempio, può essere un utile supporto per aiutare i pazienti a modificare lo stile nutrizionale o le abitudini di vita. L’obiettivo è quello di fornire le conoscenze e far emergere le capacità necessarie alla persona per gestire in maniera autonoma la nuova condizione esistenziale, collaborando alle cure e facendosi carico del proprio stato di salute.
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